“Come mi confondono tutti questi cambiamenti! Non so mai di preciso cosa potrei diventare da un momento all’altro.”
Alice in Wonderland – Lewis Carroll
Era da più di tre giorni che accusava un forte dolore alle tempie e alle orbite oculari. Il medico gli aveva prescritto antidolorifici e antinfiammatori che avevano avuto un effetto benefico solo parziale. A causa del suo stato di malessere provava una certa repulsione per l’acqua ma il cattivo odore incipiente, che sentiva provenire dalla maglietta, lo convinse a sfidare le tiepide acque della vasca da bagno. Aprì così il vistoso rubinetto cromato che spuntava dalla parete di piastrelle azzurre, ruotò la ghiera che chiudeva il tappo e accese la radio in attesa che la vasca si riempisse. Era seduto sul bordo angolare della vasca quando la radio, per celebrare i cinquant’anni del concerto di Woodstock, trasmise quel pezzo dei Jefferson Airplane che parlava del Bianconiglio di Alice. Il basso cupo, l’incedere marziale della batteria, la chitarra ipnotica, la voce acuta e suadente di Grace Slick, lo trasportarono come in un sogno. Il dolore svanì e la testa, ora leggera come una nuvola, sembrò salire più in alto della plafoniera al neon che dominava la stanza. Accese un incenso profumato e gli venne in mente l’indovinello del Cappellaio “Cos’hanno in comune un corvo ed uno scrittoio?”. La risposta migliore che aveva letto al concorso della England’s Lewis Carroll Society era stata: “un corvo e uno scrittoio hanno in comune il fatto che Poe scrisse su entrambi”. Sorrise, respirò profondamente e chiuse gli occhi per qualche istante. Quando li riaprì si ritrovò esattamente dove era, seduto sul bordo angolare della vasca, alla sua destra però si stagliavano ora due minacciose torri di plastica: quella blu del bagnoschiuma e quella giallo paglierino dello shampoo. Era diventato piccolo, piccolo come un omino Lego. Si alzò e provò a camminare sulla superficie smaltata del bordo vasca, attento a non scivolare sulle gigantesche macchie di sapone che si interponevano tra lui e l’immensa e fragorosa cascata del rubinetto. Cosa diavolo era successo? Come era possibile una cosa del genere? Stava sicuramente sognando. Doveva essere un incubo nato dallo stress, come l’emicrania che da giorni lo affliggeva. Si convinse che, se si fosse tranquillizzato, si sarebbe risvegliato e tutto sarebbe tornato alla normalità.
Intanto il livello dell’acqua stava pericolosamente aumentando all’interno di quello che era diventato un bacino enorme. L’acqua, fuoriuscendo, l’avrebbe travolto facendolo cadere dai bastioni della vasca sulle piastrelle del pavimento ma chiudere la manopola del rubinetto avrebbe richiesto una forza e una dimensione incompatibili con il suo stato. Si rese conto che l’unica soluzione percorribile sarebbe stata quella di scendere il più velocemente possibile fino al livello del pavimento e da lì raggiungere un posto sicuro. Ma come? L’altezza a cui si trovava era di circa mezzo metro e corrispondeva, in proporzione a un uomo di dimensioni normali, a circa venticinque metri. Si guardò intorno in cerca di idee. Dietro il bagnoschiuma scorse il portagioie aperto di sua moglie, vi si arrampicò sopra e vide, esultando in modo scomposto, un braccialetto e una catenina disordinatamente arrotolati. Ai suoi piccoli occhi apparivano non più come inutili gioielli ma come salvifiche catene d’argento con cui calarsi al suolo. Ma a cosa ancorarle? Vicino al portagioie c’era il flacone di Chanel n.5 appena acquistato da sua moglie. Aiutandosi con una boccetta di smalto per unghie raggiunse a fatica il collo della bottiglia di cristallo del profumo francese, vi fece passare intorno il braccialetto, lo chiuse il più stretto possibile. Scese e intrappolò un capo della catenina al braccialetto, cercando di perdere meno centimetri possibili. L’acqua nella vasca era ormai al limite, non c’era più tempo. Era stremato. Spinse giù dalle pareti della vasca la catenina. Troppo corta! Tra nodi e ancoraggi aveva perso molti centimetri. Ne mancavano ancora circa una ventina. La disperazione lo bloccò per qualche istante. Poi, sconvolto, si riaffacciò dal bordo vasca in cerca di un’ ultima soluzione. A qualche centimetro da dove scendeva la catenina c’erano i sandali con il tacco tredici che sua moglie aveva indossato la sera prima alla cena aziendale. L’acqua incominciò a tracimare con vigore crescente. Si calò immediatamente. Chanel n.5 sembrava reggere il suo peso. Arrivato alla fine della catenina puntò i piedi contro la parete di piastrelle, si dondolò un paio di volte e infine si lanciò verso i sabot di sua moglie. Atterrò proprio alla sommità del tacco dove batteva il calcagno e scivolò in un istante fino alla punta di paillettes. La vanità e il disordine di sua moglie lo avevano salvato. Dopo una serie di faticose scalate raggiunse la mensola asciutta e sicura davanti allo specchio. Non aveva ancora finito di tirare il fiato quando, guardando la sua immagine riflessa, si accorse, con un certo stupore e un ineludibile disagio, di avere un corpo interamente di plastica.